josé carbonero dio gioca ai dadi (truccati)
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La confesión es el lenguaje de alguien que no ha borrado su condición de sujeto; es el lenguaje del sujeto en cuanto tal. No son sus sentimientos, ni sus anhelos siquiera, ni aun sus esperanzas; son sencillamente sus conatos deser
Podemos sentirnos vacíos de realidad y aun enemigos de ella. La confesión parte de esta última situación, de sentirse enemistado.
Maria Zambrano, La confesión, Género literario
Un golpe de ataúd en tierra es algo
perfectamente serio.
Antonio Machado. En el entierro de un amigo, in Soledades
...si continua
a pensare con teste umane quando si entra
nel disumano
Eugenio Montale. Nel Disumano, in Quaderno di quattro anni
Non vorrei essere frainteso
Ho spiegato: mi chiamo Giuseppe
mi hanno risposto: ma Giuseppe cosa, chi?
ma com'è che ti chiami! di quale Giuseppe parli,
e poi, innanzitutto, sei sicuro?
sii cauto, schiarisciti la voce,
sii convincente!
Rivolsi il palmo della mia mano sinistra
verso il mio petto, cercavo me stesso,
mi cercavo quasi che ero e non ero.
Perplesso, non sapevo da che parte
guardare, dite a me? chiedevo.
Pesava essere me stesso,
non esserlo mi sarebbe piaciuto
in tal caso pensavo mi sarei spiegato,
avrei reagito.
Misi una mano vuota in una tasca vuota
e con il vuoto negli occhi strinsi il passo.
Qui non conosco nessuno mi dissi, oggi meglio
far finta di niente,
solo buon giorno o buona sera,
guardare senza vedere
e buona giornata a tutti
…ma pioveva.
Transumanesimo
Sembra che tra non molto
sarà possibile trasferire
tutto in altre orditure,
tutto, intelligenza, timori, pensieri, stupidità,
ed evitare la morte,
o quanto meno si potrà morire un po' più tranquilli
e senza dover smettere di pensare.
L'ho scampata per un soffio,
forse potrò dire al primo trasferimento
anche al secondo e magari al terzo,
finché la memoria non ceda
e continui ad essere l'intruso,
falso amico, fedele e insidioso che è ora.
Poi immemori di tutto non si avrà
paura più di niente.
Il nostro più caro, mai celato timore,
l'idea di finitezza,
come un impossibile amore,
perduto sarà per sempre.
Chissà che strana illusione ci sopravviverà,
- la mia, tua, nostra, di altri?
e saremo, a quanto pare,
più vivaci e attivi che mai.
Il custode del teatro
Magro come un pomeriggio piovoso
e tanto povero che sarebbe capace
di barattare una stretta di mano
con un indirizzo sbagliato.
Vivo che di più non si può, tra spezzoni
di un futuro che fu e di un passato
che potrebbe, nonostante tutto, essere certo,
è confuso, preso dalla veemenza e dai rimorsi,
non se ne accorge mai quando entra o esce di scena.
Meglio così pensa, l’incertezza
è il volto riluttante del presente,
spinge alla perseveranza.
E poi lo sa che non è mai riuscito
a tornare sui suoi passi.
Diffidente come un burattino,
buono a nulla, testardo più di un mulo,
un pugno di mosche,
la schiera dei suoi fedelissimi.
Ma è salvo perché sa
che chi spia nei retroscena
non può mentire, e tace
e si rallegra: cosa sarà mai!
il finale è fraudolento,
la messa in scena foschia lieve
pronta a dissiparsi.
Andare dal passato prossimo
al passato remoto e poi al futuro
Forse nient'altro che
un lieve provvidenziale contrattempo:
no potei più leggere,
le pagine ingiallite, tarlate,
della seconda metà del libro dove la storia
diventava sempre più miserevole.
(E tant'è, tutto in ogni modo sarebbe finito male)
Così cercai di scrivere
sui miei progetti,
timori, speranze, indugi.
Presi perciò un manuale di scrittura
per lettere d’amore, di auguri
e commerciali.
D'immediato fui spinto
verso il futuro.
No ero più impelagato
in quella triste storia,
in quel orrendo passato.
Con sollievo dissi,
è inutile piovere
sul passato.
Ma un dubbio mi rimase:
poiché nel passato
minaccia pioggia,
e sempre incerte
e contraddittorie sono le previsioni,
se avessi finito la lettura,
qualcosa sarebbe cambiata?
Schema per elaborare un testamento
Vorrei lasciarti una vita sferica, o rotonda
esagonale o rombica, reale
come un corpo solido che scivolasse
su un piano inclinato, e che tu
studiassi le forze risultanti, l'attrito,
il calore che si disperde e altre inutili variabili,
l'angolo di pendenza, la densità,
la durezza del materiale, ecc.
Meglio se a metà mattina, meglio
se a luglio, sotto un cielo vecchio
eterno, accigliato, incanutito
e forse anche paterno.
Vorrei che il mio regalo avesse
le magiche barbe di una medusa,
la sottana ipocrita di un prete,
la verità di qualche tegola crepata dal sole,
la amicizia schiva di un gatto,
e quella più sincera del topo col formaggio;
e fosse sempre di buon umore
come un bosco di abeti, o se preferisci
betulle, e anche quel bosco
vorrei regalarti con tutte
le sue ombre ridenti,
e le sue aeree radici.
Vorrei che fosse la tua vita piena di pendici,
andirivieni, saliscendi e giravolte di decisioni
e aiutarti a prepararti a tutto con giornalieri
intensi e duri esercizi sul mio inciampatoio.
Ma poi vorrei che il mio inciampatoio,
dopo di averlo usato, alla fine
mi restituissi pieno ricolmo
delle scarpinate che ti siano state più care,
o più inevitabili e persistenti e anche inspiegabili.
Quel inapprezzabile, eterno, miracoloso
inciampatoio, vorrei mi restituissi
svuotato di tutte le acredini
che dal fato ci erano state riservate
e dei nostri inconfessati e mal assemblati silenzi
e pieno di tutto il resto.
Reading poetico
Quando si spensero le luci
la sala era piena, nell’aria,
cetaceo grave, maestoso,
fluttuava il silenzio.
Un colpettino di tosse
diede il la, l’attenzione
si rivoltò come un calzino.
Tutti si smarrirono
ognuno mutò in se stesso e
gli altri non se ne accorsero.
Una nebbia bluastra si avviluppò
tra arabeschi e candelabri,
o forse era una ragnatela di spettri.
Tutto ciò che non fu mai
fu perpetrato in quell’istante,
l’istante si gonfiò, fu gravido
e durò per sempre.
Quando però, si arrivò alla fine
e d’improvviso le luci si riaccesero,
tutto rischiò di finire
nel peggiore dei modi.
Nell’inesorabile risveglio, qualcuno
il cuore in un pugno, spinto
da un si salvi chi può,
d'improvviso,
si alzo in piedi, gli altri
lo imitarono, e tutti a salvo
applaudivano commossi.
Ma ci fu uno, forse l’unico, in seconda fila
che per scaltrezza o forse perché integerrimo,
non si dava per vinto, con il capo chino
continuava a dormire.
Sull’incertezza
Morire, è l’unica certezza che ci è data?
Sorveglio le mie incertezze
le accolgo con cura
appoggio la mano sul tavolo
non farò niente, non muoverò
un dito nel prossimo istante
nell’attesa sarò solo vivo, e nient’altro
(è già passato
sono rimasto vivo, ne ho la prova)
Nelle mie certezze,
nei miei propositi più fermi ho deposto
i miei più cari fallimenti
invece tu sei discreta
e non hai mai fatto progetti.
Io so di essere stato perseverante
quanti propositi e quante mete!
alcune perfino le ho raggiunto,
e così ho frantumato le mie speranze,
le mie più care speranze con cui ero partito,
e con rimasugli d’informe realtà ho finito
per puntellare la mia vita.
Tu, invece, sei esile come un ramoscello
come posso avere sostegno da te?
dare un passo indietro è in te un’abitudine
e sei pronta a spezzarti per un niente.
Quante infedeltà ci sono volute per reggermi!
ma il cedimento si avvicinava, si faceva ogni volta
più evidente, più necessario, e ora
che a momenti (ma solo a momenti)
lo so inevitabile
duraturo, inesauribile,
Incertezza, attenzione
più scrupolosa e tenace,
ora so di dover ascoltarti.
Tu eri un’altra
Accadde in un ufficio postale
in un’altra città dove forse non sono mai stato
o in questa alla quale ogni giorno chiedo:
cara città non so come, né da quando
nei tuoi lievi meandri ho capito
di essere lontano, smarrito, quasi me stesso.
Ti vidi vicino ai bollettini dei conti correnti
e dietro a una fila di esseri assorti,
con lo sguardo volto ai tempi andati
forse per le bollette scadute,
forse per i versamenti degli arretrati.
Ma tu eri un’altra (questo lo so, su questo
non ho dubbi) eri inquieta
insofferente, ti auspicavi
di farla franca, che non ci fossero intoppi
e di sbrigarti prima delle undici.
Eri un’altra, non eri tu,
portavi quei strani occhiali
che lo so, non hai bisogno,
e non hai mai avuto.
Di te ricordo tutto: una calligrafia
da vespaio in scompiglio,
il francobollo storto che quasi scivolava
fuori dell’orlo della busta,
le ante delle porte
che sbattevano, la bicicletta
con la ruota sbilenca
che passando cinguettava,
e i capelli viola turchese
della vecchietta che nella cassetta
della posta, - accigliata, il gesto fu schietto,
rapido, necessario- imbucava l’inesorabile notizia
di qualche fatto già accaduto.
Ed era tutto così terribilmente normale…
Fuori, sullo sfondo, la realtà scorreva
come in un vecchio film in bianco e nero.
Noi in primo piano (tu, io e chissà
chi altri) per quanto presi dalla fretta,
e indaffarati, non rischiavamo molto.
E mi sono chiesto perché, se era tutto,
tutto cosi normale, perché
non riuscivo ad allontanarmi, non riuscivo
a sentirmi come uno qualunque,
uno che appena gira l’angolo si distrae
e dopo, di sé si dimentica…
Epitaffio in serbo
(a un amico ancora non deceduto)
Questa è la sepoltura di un illuso,
un irresoluto, tenace solo
nel dubitare su tutto
fino alla noia.
Gioie effimere e banali sconfitte furono
per lui una vita colma fino all'orlo.
Che alla fine abbia capito che a tentoni
si compie l'esistenza, e che è questo
l'unico bene che ci è concesso?
è poco probabile.
Non giudicarlo negligente,
né giudicare sprecata,
tra titubanze, la sua vita,
chi lo conosce sa
che si offenderebbe molto.
L'uovo di Schroedinger, o era il gatto di Colombo?
Scrisse uno scienziato eminente
su un gatto randagio, orfano di topo,
che in una gabbia quantistica fu rinchiuso.
Spiegava che essendo tutto vero:
vera la storia, vera la l'esistenza,
vera l'oscura materia, vero
l'universo smisurato, e noi tutti,
nonostante i nostri dubbi, le nostre smentite,
veri anche, poteva essere al contempo
morto del tutto e anche pienamente vivo,
perché non era lineare la realtà
ma ondulatoria: ciondola la vita sulla morte
galleggia la morte sulla vita.
Noi guardando dall'altro lato della ragnatela
esclamammo con non confessato timore
e se fossimo noi gli ingabbiati
potremmo saperlo?
Allora, forse è meglio
non aprire la gabbia?
Ma poi come sempre desiderosi di capire,
Ma poi come sempre desiderosi di fraintendere,
-cosa più sicura, meno angosciosa,
riflettevamo, ecco la spiegazione, ecco perché
tutto mai potrebbe finire, anche se ebbe inizio e
tutto mai ebbe inizio, anche se indubbiamente finirà.
Ecco perché per noi i distratti
a non pensarci tutto sembra andar bene
ma in fondo se ci pensiamo, molto ci inquieta
perché per quanto su tutto,
dubbi, teorie, ipotesi e incertezze,
abbiamo rotto già tutti i gusci,
poi le cose vanno a finire come sappiamo
secondo l'ordine pre-stabilito, quale?
Discorrevamo, ognuno diceva ciò che gli pareva.
Un direttore d'orchestra: provare è necessario,
il reale fa le prove prima del concerto
ma per la prima non siamo ancora pronti.
Il ministro di grazia e giustizia: sigillate la gabbia
che nessuno esca, e chi si trovasse fuori
sia perseguito e severamente punito.
Un curioso che di li per caso passava: fate al gatto
la conta delle vite, non si sa mai,
qui gatta ci cova.
Un altro ansioso di non fare scena muta,
per non essere da meno,
con aria severa, tono laconico:
non è tutto inutile, la gabbia
mai è stata chiusa, Oh si, siamo ancora vivi,
non dubitate, c'è ancora qualcosa da dire.
Era un impegnato pensatore, credeva
fosse suo il compito di scrivere il finale
apporre la firma e chiudere la questione.
Nevica
Nevica, è tutta la mattina che nevica
anzi è da ieri sera, e nell'aria
qualcosa tace.
Non trovo la mia agendina,
avevo preso nota di tutto ciò che ho da fare.
Ma su altre cose, tutto il resto,
ciò che è, o era
più rilevante, non riesco a prendere nota.
Molto avrei dovuto dimenticare, e in tempo
prima che fosse irrimediabile. Invece
ricordo tutto come se fosse ieri.
Ho i miei giorni contati, come chiunque tra altro.
Non c'è da spaventarsi, succede così quando ci si ostina
ad aggiungere ricordi al domani
e la memoria si affolla di passato.
Ma oggi nevica, e nell'aria qualcosa tace.
Spargono sale sulle strade e non si scivola
sul avvenire,
ed è un sollievo fermarsi ad aspettare.
In memoriam di (.......... scegliere il nome di un poetaoscuro)
Fu una sera in cui per prudenza,
prima di uscire,
chiudeva porte e finestre.
D'improvviso se ne accorse
che un giorno tutto
sarebbe finito, allora
nulla più volle rimandare.
Si rallegrò di tutto quel tempo perduto
che d'improvviso si trovo tra le mani.
Pensò che era meglio non distrarsi,
tanto meno adirarsi.
(Smorzò i toni, uno a uno
e li conservò nelle loro custodie).
All'inizio fu un po' offuscato,
al buio a tentoni
cercò di orientarsi.
Poi senza pensarci tanto, né avvilito,
né esultante, non molto determinato,
e non con il coraggio a due mani,
si mise all'opera.
Le mani vuote in tasca,
niente di inestricabile,
niente di inesorabile
che è come aver tanto da dire
niente da ridire.
Benché qualche volta le capitò
di pentirsi, di credersi sconfitto,
fu perseverante:
ebbe la prudenza di dimenticare
vecchie cause inesistenti,
vecchi motivi persistenti.
Resistenze quotidiane
Sarei dovuto andare in farmacia stamattina,
mi mancavano le aspirine, ma poi
visto che mi mancava anche tutto il resto...
Mi mancava quell'aria piovigginosa
di ieri, d'inizio autunno
con il sole che brontolava dietro quelle
malcapitate, inopportune nubi.
Quella scena dove ti ho vista
mentre scendevi dalla bicicletta,
la gonna è andata su un po' più del previsto.
Dunque già che ero sicuro
che l'evento non sarebbe più accaduto,
non sono più andato
a prendere le aspirine.
Sono rimasto senza le aspirine.
Tautologie
(rischiare per nulla)
Non sapendo come iniziare
dico insensatezze
che un cane sia un cane, lo si sa
e poi lo si può capire
da come si rincorre la coda o dall’odio
che ha per i gatti,
ma un paraipotattico
è schivo come un porcospino, timoroso
sa di dover attendere con cautela.
Certo potrebbe abbaiare come un cane,
nessuno si meraviglierebbe
o come una pioggerellina estiva bucherellare
la sabbia e scioglierti i capelli.
E potrebbe far si che un granellino
di sabbia ti entrasse nella memoria
e girasse a destra e a sinistra
tra ricordi già estinti o appena nati.
Mi hai interrotto chiedendomi:
Perché vuoi mitigare la durezza del rifiuto?
la tua caritatevole comprensione
è ipocrita, non cancella
la pigrizia del disegno, lo sai
che non devi tornare sui tuoi passi.
So ciò che ti assilla, tu sei un estraneo,
sii prudente, non dare nell’occhio,
non tradire la tua colpevolezza,
e perfino se tu volessi celarti
nella parte del buffone, o del saltimbanchi
saresti sempre e comunque un estraneo.
Cancella quell’inutile espressione
di falsa sofferenza,
quell’aria di fingerti smarrito
guardandoti nel palmo delle mani.
Sapevi che tutto ciò non era inevitabile
e tanto meno imprescindibile,
queste cose avresti dovuto saperle.
Ti ho risposto: ho sempre creduto
in tutto ciò che oppone resistenza,
so che merita di essere ascoltato.
Ti parlavo piano, con cautela, lo sguardo
fingeva allontanarsi verso la torre del campanile,
è primavera ti ho detto: sono rinati i campanili.
Tra me pensavo, ho sempre temuto vedere le mie dita
mutarsi in una foce, sono stato tra piccole isole,
ho sbriciolato tra le mani zollette di terra,
nell’asprezza del chiuderle sento che qualcosa è rimasto.
So che avrei dovuto tacere, mi è mancato il contegno.
Tu zitta, guardavi dentro di me
come so che sai fare, pensavo:
le mie vecchie zie megere
avevano zoccoli inutilmente rumorosi,
è da loro che mi viene questa inesorabile resistenza
pronta al salto su una virgola,
su una pausa malferma
su una parola scorbutica? vedevo
dalla finestra la città insensata
che si rincorreva la coda,
mi sentì sollevato: anche se posso sembrare
meschino e povero mi affido a questa salvifica resistenza:
conosco il malessere del dovere incompiuto
so che mi accompagnerà per sempre.
Padre
padre nostro, che sei distratto o forse
attento nei cieli o altrove,
anche se ricordo solo
qualche parola di questa che ora mi sembra
una filastrocca infantile, ascoltaci
ieri sono entrato in farmacia
e ho notato come la malattia
fosse più vivace della salute
padre avremmo tanto da dire, ma è strano
come si arrivi a pensare che è più sensato
stare zitti, e dopo, distratti, senza accorgercene
prorompiamo a parlare a vanvera
la salute si lagnava
del suo letto asciutto, del suo sassolino
nella scarpa, delle sue chiuse
invase dalla fanghiglia, i suoi argini
a punto di straripare, la sua acqua
stagnante e rugginosa
la malattia invece
seguiva il suo corso,
batteva come una pioggerellina
gioiosa e incessante
santifichiamo il tuo nome, dubitiamo
della tua presenza perché sei uno che origlia
a quanto pare sei dappertutto e osservi tutto
e come si fa poi a credere,
che padre è uno che non fa altro che origliare?
come si fa a credere nella tua presenza?
e come faremo noi che non riusciamo a credere alla tua assenza?
perché girandoci intorno ci siamo allontanati
perché tentando di allontanarci non ci siamo smarriti abbastanza
perché noi che a volte siamo tanto lontani
non lo siamo mai tanto da non essere soli
d’altronde
a me mi ci è voluto una vita, questa, tra altro
di cui procuro aver cura il meglio che posso,
per trovare il modo di dimenticare il padre,
con abnegazione ho voluto dimenticare
e non ci sono riuscito, si può dimenticare il padre?
è vero sono stato ridicolo
è vero ho avuto paura e rancore
è vero stupidamente mi è sembrato possibile tornare indietro
è vero non sono riuscito a pentirmi, non ci riesco mai,
né a perdonare, non so che ci si possa fare
di un perdono, del mio perdono, a che serve un perdono?
è vero quasi niente porterò a buon fine
tranne la mia instancabile fiducia a punto di crollare
il mio modo di ricavare fondigli,
e dai fondigli sembianze,
e parvenze da frammenti dispersi
ho avuto prove della tua esistenza ma,
poi mi sono allontanato, vagabondavo
nella mia inesistenza
ho avuto prove della tua esistenza,
ma mi sono sembrate, come dire, poca cosa,
mi sono guardato intorno
per vedere se c’era dell’altro
perciò
avremmo pensato di essere
amanti della vita, anche del nulla
che è accanto alla vita
amanti degli animali, della terra mai abbastanza nostra
delle cose vive e di quelle altre la cui vita è nascosta
perché abbiamo creduto,
non si sa bene perché, che fosse
nostro il dovere di amare -anche del prossimo
abbiamo tenuto conto,
purché non fosse molto prossimo, neanche molto vicino,
il che no sembrava facile
perché tutti a volte sembriamo tanto estranei,
e gli estranei di solito sono il prossimo
e gli estranei di solito tendono ad avvicinarsi
tanto vicini da esserci inesorabilmente accanto
santifica gli altri, i nostri vicini
santifica qualcosa, qualunque cosa
santifica gli altri
tutti e tanti siamo gli altri, pensaci
pensaci, in questo nostro pigro aldilà sulla terra
dove siamo impazientemente gli altri
guardando all’avvenire, però
ci vergogniamo di dover aspettare
è rischioso ciò che stenta ad avvenire
ed è rischioso aspettare
che senso ha aspettare, che cosa è questa dell'attesa padre?
sii padre degli altri, tanti e lontani,
gli altri, noialtri tutti ci vergogniamo
perché rischiamo di essere tutti
sparsi ovunque, copriamo la terra del nostro affanno
di passi senza saper dove andare, tutti,
tutti e nessuno e dubitiamo
che possa essere vero, vivere senza distingui
tutti è una enorme dispersa folla, non riusciamo a capire
padre,
padre, parola che pesa come enorme macigno di nubi
avremmo voluto esserne certi del tuo abbandono, padre
dacci il nostro abbandono quotidiano
che germoglia tra di noi,
dacci la solitudine più piccola e completa da poter
nasconderla in una mano vuota, padre
ma dacci anche il nostro tempo quotidiano
il tempo che ci è sfuggito, il tempo
in cui abbiamo creduto alla stanchezza e al riposo
quello docile sbriciolandosi tra le mani come paglia
ciò che sfugge al tuo silenzio, padre
affinché possiamo riconoscerci, riconoscerti.
Tu ed io non c'entriamo per niente
Devo dirti una cosa, ho un segreto
da svelarti: tutte quelle persone che a volte
appaiono in ciò che scrivo
io non le conosco, non so
chi siano, certo me ne accorgo della loro esistenza,
della loro insistenza, bussano
alle mie tempie, si affacciano su ciò che guardo,
senza di loro
non saprei a chi parlare, chi incolpare
ma io non so chi sono.
Però tu, che sei
a metà strada tra te e me,
e che sai che alludo a te quando
dico noi, e che mi guardi
in quei meandri oscuri della memoria
dove a volte con imprudenza mi allontano,
e quello che io neanche mi azzardo a dire ascolti
e credi così, di essere
una di quelle indaffarate comparse,
sii cauta, potresti sentirti confusa
presa da difficili compiti o troppo
urgenti, vestita di stracci,
indifesa tra ricordi che ormai
avevi già scartato.
Non pensarci, non è niente,
è solo un poco di quello che sono andato
conservando per prudenza, per quando
in controluce mi imbatto per caso in un vetro opaco
e suppongo sia doveroso
riempirlo di ombre, scelgo alcune
le più malandate per paura
che svaniscano, sono caricature
rimasugli di ricordi
di ricordi di esistenze
di esistenze che non arrivarono in tempo.
Sii molto attenta, sono intriganti potrebbero
diventare ostili, insofferenti
intrecciano congetture,
che un'altra vita sarebbe stata possibile
perché ciechi, offuscati
guardano solo all'indietro.
Parlano a vanvera, di tempi precedenti
tempi perseveranti, che ci soffocano
di cerimonie e salamelecchi
come cani fedelissimi.
Quindi forse è meglio non dargli retta
lasciali a cuocersi nel loro brodo
quei bugiardi, certo hanno le loro ragioni
per esistere come te ed io
ma io non so chi sono, e credimi, né tu
né io c'entriamo per niente in tutto questo.
E i cocci sono Suoi
Il mondo è rotto in mille pezzi
una finestra, un gatto, una matita
non sono altro che briciole di realtà.
Una mosca è una scheggia
di un'altra vita distante
che appena riusciamo a capire.
Stamattina ho perso uno sguardo
credo lo abbia trovato il cane del mio vicino
era particolarmente inquieto,
aveva nel suo rauco latrato
un non so che di quel strano pessimismo
che mi è tanto congeniale.
Mi manca tanto quello sguardo,
era uno sguardo che vedeva al di là
di ciò che è ragionevole.
Ciò che è ragionevole non suppone
l'insensatezza di perire.
Brutta cosa quella! ma
come farne a meno,
se alla fine non dovessimo morire...
(a che pro tutto questo partire,
a che pro tutto questo andare e venire)
Visto come vanno le cose
meglio vederci chiaro
la vita potrebbe rivelarsi incompiuta,
aspramente interrotta, protratta
distratta o attratta
da qualcosa d'altro. Misurarla è inutile,
misurarla è il nostro dominicale aldilà,
è il nostro tempo perduto.
È cosi che oggi vanno le cose.
Sono a pezzi il mio fato è fuori sintonia,
cosa può un uomo in tale stato?
Farò una passeggiata, andrò
fino al orlo del mondo,
girerò tutto in tondo, andrò su e giù
farò un tuffo,
giù lungo l'asse delle ordinate.
Sono senza fiato, sono un uomo
in cattivo stato, cosa mi appartiene?
Perché mi trattengo? Non sono già arrivato?
Che ore sono?
Spero solo che una pioggerellina lieve
disegni un amabile pomeriggio,
le sarò molto grato,
osserverò molto attento
le cose illuminate dall'acqua.
Rifletterò sul da farsi.
Sulla punta della lingua, sulla vita
o qualcosa d'altro
Che sia talmente inusitata,
che non vale la pena neanche pensarci
che si sbricioli, o si sfili, sembrano tutti d'accordo
che sia un andirivieni, un sotterfugio
che sia stata presa per qualcosa d'altro
che si snodi, si sciolga e dopo si riallacci
che la si possa attaccare al muro
che basta solo mettere un chiodino
o rasparla un po rudemente, anche se inutilmente
o scacciarla, mandarla a quel paese
o ritagliarla, stagliarla, sminuzzarla
ed essere snervati e stanchi e perfino
non saper che altro fare.
Pur di sopportarla far finta di niente
pur di concedersela non farci caso,
misconoscerla appena si affaccia, o sbugiardarla o sputtanarla
e se ti sfiora o se all'improvviso sbuca fuori ignorarla,
che poi sfiati e si sgonfi, per poi svitarla,
si sa che appena può si divincola
se si agita riallacciarla, e se fosse slacciata legarsela al dito
se diventa dolciastra forse meglio glassarla
se è in vetrina sventrarla,
invitarla se è matta, e meglio se è impudente
ma tutto con distacco, con molta cautela
perché è permalosa, diffidente, e per un niente
le penne ci lascia o se la svigna.
Una grande certezza
La realtà esiste,
qualcosa c'è là fuori
cosa sia non lo sappiamo...
detto dallo scienziato, allegro
ma non troppo,
sembra un dogma a pensarci, ma
gioca a carte coperte, e comunque
non sbaglia più di tutti noi.
Se così fosse e
se la muffa della presunzione
o della modestia (falsa,
che di altro tipo forse non esiste)
non ci obnubilasse
una certezza tale avremmo
abbastanza da sentirci sollevati,
sicuri non di poco, forse di tutto.
Tecniche di laboratorio
spesso ti sei seduto sulla sedia zoppa,
quella che traballava
te ne sei accorto di essere di traverso,
la luce ti faceva ombra,
non ostante respiri senza affanno
o forse ti rassicura essere ancora in disaccordo
credi di non essere stato raggirato
e che la tua resistenza
è rimasta intatta e questo
te lo ripeti ogni tanto, sempre più spesso
una cantilena, qualcosa come una inconfessata convinzione
un credo cui non sono necessarie preghiere
un’ancora di salvezza a mancanza di certezze
spesso hai creduto di essere tra i peggiori
quelli senza rimpianti, o quelli orfani di sé
che di sé fanno un lavoro
di deturpazione, e pensavi
di essere sordo tra i sordi, uno che
senza volerlo voltava lo sguardo
per rimandare, per pensarci meglio più tardi,
lasciar passare, tornare dopo sul fatto
ma non eri dei peggiori, anche se resta la paura
dell’assenza del disegno,
hai voluto prenderne atto
e l’errore era lì, stringere le mani
non è perseverare,
ascoltare un pigro mormorio
fuori, nell’aria, non dice niente, non da conforto
ma non ti eri allontanato abbastanza come credevi,
abbastanza da capire che fermezza può anche
essere all'orlo e dover accettare,
fare una pausa, inciampare,
essere fuori tempo, prendere fiato
che si può anche guardare a bruciapelo
e impotente voler capire
e che si può anche voler spiegare,
ed è comprensibile voler spiegare,
è umano si direbbe
senza capire cosa vuole dire, senza
sapere cos'altro dire,
e alla fine forse qualcuno potrebbe dire perfino
di averti visto passare
dubitando se avevi fatto il possibile,
e che avevi un’aria credibile,
schivo, vulnerabile forse, ma credibile.
Non so che dire
Non so che dire, ci sono giorni
in cui i miei ricordi sono feroci,
nitidi come mani estranee
con cui no riesco neanche
a coprirmi gli occhi.
Chissà quale avarizia mi si è incollata addosso
e da quando mi chiedo.
La mia memoria allora va a pezzi,
e penso con ansia,
oggi non ho niente da dire,
sono povero di incertezze.
E ho davanti tutta la vita,
tutta quella che mi resta.
E ho davanti tutto ciò che non è stato,
senza riuscire a dare un passo.
E non ho neanche un istante da perdere,
neanche un giorno, un ora, un minuto
per fare una pausa.
La memoria marionetta e lo spettatore perplesso
Che l’esistenza dei fili fosse inevitabile
sembra cosa scontata ma resistere
è ciò che sorprende.
Maldestro, inciampa, vacilla, si piega
è quasi a punto di cadere, ma resiste.
È il teatrino che lo regge?
O è solo perché è inetto, insignificante,
ed è all'oscuro di tutto e non sa
che è inevitabile resistere?
- che davvero non si possa cadere
senza opporre resistenza?
Non pensa al giorno in cui inciamperà,
e i fili diventati matassa gli ricorderanno l'inizio,
intanto nel suo mondo cubico
muove timidi gesti, pochi.
Ogni tanto l’allegria di una curva, la paura di un angolo,
poco ha da dire al di fuori di tale esigua geometria.
Ma non si scoraggia, tutt'a un tratto sorride
poi si rattrista, in faccia muove
una felicità muta
che gli disegna un volto.
Guarda d’improvviso un angolo mal illuminato
come se fosse un baratro,
un inutile baratro, banale.
Ma è il suo, quello che ama, da dove si riprende
dove si ritrova e si riconosce.
Rimane assorto,
fermo sul fondo della scena, sbigottito
come se tutto l’inevitabile che cova nel cuore
dovesse crollasse in quella nuova certezza
che ha appena scoperto,
cieca certezza che protegge
come il suo bene più temuto.
Ma è la sua salvezza crollare
che è vivere ed è questa la sua intima certezza.
Perché lo sa che la farsa non è quella,
ma dubitare riflettere essere certi
persistere capire perdonare.
I fili ora sono un groviglio e non sa
dove si stringono, dove si dipanano.
É da tempo ormai che non si capisce
se il movente basta per la condanna
o se si dovrà aggiungere qualcosa d’altro ancora.
Ci si potrebbe chiedere il perché, se fu una stupida
distrazione, o se no che altro o cosa?
O se a tutti quei fili mancava questo,
quest’ultimo, che si doveva aggiungere.
Tutto ci si potrebbe chiedere
ma non è forse meglio non farlo,
non chiedersi nulla ed essere certi?
Il burattinaio, fu visto una volta
allontanandosi sembrava una persona normale,
zoppicava, ma solo un poco
e perfino dei fili con sollievo sembrava
dimenticarsi, qualcosa di insanabile
o di malsano si trascinava vacillante.
Perché sembrava così accattivante, mi chiedo,
quasi da invogliare a imitarlo?
Tratti continui
Lieve attraverso una luce giallastra
il fruscio delle ruote delle macchine
sulla strada bagnata
trapela dalla finestra.
La pioggia ha pulito l’aria.
Nella foschia che va diradandosi
i tetti sono un intreccio di triangoli, riemergono.
I colori delle mura si riaccendono
lentamente dal giallo all’ocra.
Oscillano, ma impercettibilmente,
come alberature con la vela raccolta
le antenne delle tv vicine.
E le gru poco distanti, per chissà quali lavori
sembrano enormi bestie mansuete che riposano.
Si scuotono con gli ultimi residui di brezza
le foglie bagnate delle pianticelle sui balconi vicini,
o forse è solo il luccichio dell'acqua,
e le siepi accanto a cancelli e garage
e anche il rosmarino sulla nostra finestra.
È domenica sera,
nessuno parte, se mai
ogni tanto qualcuno rientra.
Dentro queste case
la notte è attesa senza riserve,
e anche se non sembra
è tutto vero.
Io non ebbi il piacere di conoscerlo
Ogni sera al tramonto accendeva la sua ritrosia
e sotto la fioca luce leggeva
trattati sulla maldicenza
e altre tecniche di rammendo.
Neantropo, visse in foreste
di false partenze e arrivi veri.
Fu severo, acrimonioso nel soppesare
tutto (e il contrario di tutto),
ma a causa della sua cattiva memoria
non serbò mai rancore a nessuno.
Oggi, ma forse anche da alcuni giorni,
qualcosa mi inquieta
Oggi è un giorno qualunque... banale,
e in un giorno così, qualunque cosa
potrebbe accadere,
che leggendo il giornale
nei necrologi trovassi un parente,
o un amico morto, o meglio, deceduto
- nel giornale non avrei letto morto…
nel giornale avrei letto: estinto, mancato, scomparso
si è spento, non è più con noi, e così via…
perito, defunto, trapassato, credo non si usino più
ne avrei tre o quattro possibili,
in attesa, già vicini? (lontani?)
a metà strada, a metà di cosa?
in un giorno così, qualsiasi... morire?
oh non c'è che dire... meglio non dire niente
ma anche
essere vivo, completamente vivo fino alla fine
della giornata... e oltre ovviamente
oggi in un giorno così potrebbe accadere che...
oggi potrei... senza pensarci più, fare qualunque cosa
invece di andare al lavoro, andare a pesca per esempio,
forse non c’è cosa più lontana dalla realtà,
non saprei neanche da che parte andare se volessi
andare a pesca... come si fa ad andare a pesca?
o forse perché mi angoscerebbe andare a pesca:
i pesci muoiono di asfissia credo
appena qualche momento fa è caduta una pioggerellina
volubile, inattesa e in un momento era già sparita
non si sa da dove venisse, mi sono affrettato
a nascondere un angolino d’ombra che mi era rimasto
sulla bocca dello stomaco
l’ho messo in tasca perché
sono un uomo e non so che potrebbe fare un uomo
con un angolino d’ombra tra le mani, no
non mi sembra conveniente
invece obblighi, impegni, sono cose
piuttosto serie, da non mettere nelle tasche, dunque...
il sole splende di nuovo, solo cinque minuti fa
o dieci si sera nascosto e già ero a punto di franare
ho visto abissi e boschi ululanti, dovrò stare attento,
molto attento, ma questo una voce me lo ripete da anni,
da sempre, ho l’impressione...
Tecniche di sopravvivenza
Se trema toccala a mani nude, senza esitare,
respirale vicino (questo la fa arrendevole), poi
fa' si che dimentichi, che si fidi, che veda
dove la materia perde consistenza,
che tocchi dove la memoria si corrompe
che veda il riverbero sulle le lacerazioni.
Portala dove il desiderio si accende, e stringe il respiro
che possa presentire la caduta, immaginarla.
La prendi con una mano e ti sfugge dall’altra
ma il peggio non è che ti sfugga, neanche
che tu ti smarrisca, che ti sia lieve
fino all’assenza è il peggio.
Poi in disparte, senza che nessuno se ne accorga
perché sai che sbagliare è inevitabile
prendi nota di tutto.
Dove si accumulano impurità e residui
e rimane umido e spesso c’è muffa e sporcizia
mettici dei segni col pennarello
sottolinea, apri parentesi
aggiungi richiami, appunti
note al margine
cancella, riscrivi
-metti i punti sulle i!
Non badare a scuciture, strappi,
conserva le crepe non volute
e aggiungine altre nell’eventualità
si rimarginassero.
Non rifiutare la morbidezza, le carezze
avvicinati, toccala, senti il suo fiato caldo
sgusciale dentro, non darle respiro
prendila, prendila
Infangati, rimescola con le braccia fino ai gomiti!
Poi mentile, mentile
non farci caso
mentile come se niente fosse:
fingi di desiderarla, vedrai che cede.
Oh n°2
Oh inutile, inutile, prima la mano
si mosse rapida, le dita rivolte
all’insù, aperte di scatto come un ombrello
sgangherato, ma in vano, …mi sfuggì, spinto
dal gesto brusco, rimbalzò alle mie spalle.
Poi il braccio, tentando l’impossibile
per catturarlo si volse brusco,
al indietro sul lato sinistro, che sembrava
nuotasse, un'energica bracciata…Ma fu troppo,
questa volta lo colpì l’avambraccio.
Gli occhi spalancati che non perdevano
particolare -contorto il collo per seguire
l’evento, videro tutto:
una curva dopo l’altra, dal ripiano
alla mano, dalla mano al braccio.
Ma vedere oh fu inutile, inutile:
il bicchiere, vetro rozzo opaco
un’etichetta pubblicitaria sul fianco
si ruppe, anzi si incrinò soltanto.
Fu sostituito con un altro identico
d’immediato, come se niente fosse.
Qualcosa ancora in disordine
Leggevi e le pagine migranti,
rondini nello spazio immenso
tra il tavolo e il soffitto
volavano nell'aria
una dopo l'altra... poi un niente
un picchiettio, nel sangue, un battito
nei polsi o nel petto,
ingannevole, che distoglieva:
- fare una pausa, sollevare il capo, distendersi,
arrivò contorto, e dopo anche alle labbra,
me ne accorsi
che stavi per dire qualcosa e che esitavi.
Bastò perché tutto fosse ovvio:
scaramuccia o avvisaglia?
e che bastava un niente per ritrovarci, per indovinarci
o ancora di più: un bisticcio tra quello che
c’era tra di noi fino a quel momento, tutto
ciò che ci era successo fino allora
e la nostra solita insensatezza tenace
che ci dava prova chiara
di quanto ancora ci sarà,
di quanto ancora avverrà?
Fu così che, quando stavi
per dire qualcosa ti sei interrotta
ripensandoci: forse me l'avresti detto dopo,
forse non mi riguardava, forse era solo una sciocchezza.
Distolto lo sguardo, con la mano cancellavi
una piega sulla gonna, o stavi per alzarti
o per appoggiarti su un gomito perché la luce di dava
di traverso, o avevi dimenticato qualcosa e
d’improvviso stavi per andare a prenderla,
un pensiero ti calò negli occhi e prima
di svanire tra gesti incerti, per poco ancora
ti rimase accanto.
Per me fu visibile, lampante
con un po’ di premura, perché so che potrebbe
esercì utile, lo annoto.
C'è l'ho ancora negli occhi
non vorrei che mi sfuggisse.
Non è molto, qualcosa
che con leggerezza quasi accadde,
un rimasuglio appena, un sedimento,
ma una conferma in qualche modo.
Alcune cose si muovono d’improvviso
Alcune cose si muovono d’improvviso la cui causa è…
(è lo sguardo che disturba l’esistenza?)
una manica del vento per un soffio
il becco di una gallina per un lombrico
la coda di una mucca per una mosca.
Altre con moto periodico ma la cui periodicità non ci è svelata:
il martello sul dito (che fugge dal chiodo)
la tegola sulla testa, (disegno o scarabocchio che sia)
la pulce nell’orecchio (di cui per convenienza si dà colpa
a l’orecchio anfiteatro, e alla sua acustica perfetta)
Invece in termodinamica si afferma che non è
impossibile che tutte le molecole
d'aria dentro una stanza, d’improvviso,
si raggruppino in un piccolissimo angolino,
ma solo altamente improbabile.
Se cosi fosse, allora dell’amore le briciole,
particelle frenetiche del disumano
desiderio di possedersi per sempre...
e i crampi, in frammenti piccolissimi
dell’abbandono di chi
abbiamo da sempre amato
infinitesimali, raggruppandosi
inspiegabilmente, negli interstizi
tra due esseri mortali, mostrerebbero
un’anomala diminuzione dell’entropia?
smentirebbero del tutto e nel nulla dell'avvenire
il naturale inclinarsi, inevitabile, al disordine
finale o iniziale, evidente o apparente?
E poi che dire delle nostre care insondabili
miserie, c'è chi dice
- ma nessuno lo confermerebbe,
perlomeno non del tutto,
che sono come un impellente, necessario
mettere nero su bianco –e in lettere cubitali,
cose che in ogni modo rimangono incomprensibili,
refrattarie a teorie, grafici,
opinioni, previsioni statistiche,
empirismo delle osservazioni.
Si parla perfino di una sorta di verità
dei sistemi chiusi, certi sistemi chiusi.
Una, a quanto pare, inconfutabile verità,
sulla quale a volte ci scommettiamo la speranza.
Dunque sciagure, stermini,
genocidi, calamità, disgrazie, catastrofi...
determinismo di un sistema chiuso?
Che per alcuni si dia per assodato
o che sia ovvio per altri o perfino
che spunti il solito stralunato che pensi anche
a leggi, che spieghino che nell’indescrivibile caos
non possa non esserci una esplicazione, uno scarabocchio
scritto ai margini o a pie di pagina
anche se a caratteri piccolissimi
illeggibili, e che se si riuscisse a leggere...
Può darsi, ma, un’assoluzione, l’estinzione
del debito, una pausa, un piccolissimo
condono, o quanto meno
l’inizio dell’era felice delle scorciatoie.
No, quello non per ora, o almeno non ancora.
L'astuto, il furfante
Un tale trambusto fecero quei monti
quando il famigerato, inatteso
e non desiderato, topolino partorirono.
Che era tutt'altro che insignificante,
dopo tutto, l'astuto, il furfante.
Si ebbero conseguenze inaspettate.
Lieve cresceva l'erba dappertutto
nelle aiuole soprattutto e accanto
a quelle belle acacie dalle foglie bipennate
e a quegli alti pini, alteri e dagli aghi pungenti.
E nelle fughe, perfino, tra le mattonelle.
Poi al mattino, tra nubi che di lì
non per caso passavano, spuntò il sole
in tutta fretta, quasi con affanno.
Di furti, truffe, malefatte si parlò
in quei giorni nei giornali,
di cattiva amministrazione, cattive
intenzioni e brutte situazioni.
E di morire addirittura gli venne
in mente a qualcuno;
o per malattia, o per accidente,
o per causa naturale.
E la sua dipartita fu o triste,
o un sollievo, o tormentata,
ma per tutti del tutto inaspettata.
Ogni cosa sembrava andar male
anzi di male in peggio,
e a dir il vero non mancò
il cretino, o il furbastro
o l'immancabile illuso,
che avrebbe voluto saperlo prima
per rifletterci, o difendersi al meglio,
o persino fuggire.
E alla fine sebbene ci fu chi
di niente fece finta, e chi, invece,
disse di aver subito tutto dimenticato,
tutti un grande spavento si presero e, non solo,
rimasero di stucco, esterrefatti.
Certo non è poca cosa
Certo non è poca cosa dire
ho tutto questo fardello
da morire, da portare a compimento,
sarebbe meglio andarci a mani vuote.
Dico, sarebbe meglio, se si potesse,
senza la speranza ingombro
che pero non cede, e io so che
malgrado tutto sono incredulo,
distratto, anche allergico.
Spero, in quel frangente
non starnutire troppo.
Spero in un momento così deliziosamente
unico, indimenticabile, non fingere
come se si potesse cambiare idea.
Porterei con me l’anno in cui cominciai
a prendere nota di tutto ciò che non mi era mai successo,
mi è molto affezionato, io,
per quanto mi riguarda, le sono grato.
Fu un anno clemente,
inizio male, dopo peggiorò, e alla fine
condiscendente decise di finire
un 31 dicembre. Anche se allora,
abituato come ero ad averlo accanto,
non me ne accorsi.
Porterei anche uno di quegli altri anni
i più incerti, quelli in cui inavvertitamente
imparavo l’inutilità dei sotterfugi.
Ho troppo mentito, ho indugiato molto, ho troppo atteso
ma ero felice, mi preme dirlo
- lo dico di sfuggita,
si sa, è nei sotterfugi la felicità.
Quanto persi in quegli anni, indaffarato a farli passare.
Dopo capì perché il protrarre è vergognoso.
Oggi mi sorprendono, mi spaventano quegli anni
come se fossero anni non consumati.
O forse di quelli ne porterei più di uno,
se dipendesse da me, li porterei tutti.
Sono in buono stato, quasi nuovi, appena usati,
potrebbero essermi di alcuna utilità.
Sono i più facili a rievocare,
i più docili a essere consumati
a forza di memoria.
A essere usarti per esempio come fermacarte,
o meglio ferm’attese, ferma indugi.
Sono anni resistenti
massicci. Ora come ora
sono divenuti i più concreti, quegli anni
evanescenti, labili, rarefatti.
Un leggera smemoratezza, nella valigia non guasta
non si sa mai, non occupa poi tanto spazio,
veste bene, ed è sempre opportuna.
Serve a non abbassare la guardia,
a non crederci troppo.
Come si fa a credere quando a momenti
ci si dimentica, ci si distrae, e tutto
come se niente fosse ricomincia?
Come potrebbe mai, ci si chiede,
finire tutto così, se dopo tutto è stata solo
una lieve svista?
Volente o nolente porterò anche gli occhi stanchi
che ho verso le undici e mezzo di sera.
Fingo di leggere a quell’ora ed essendo molto stanco
sono molto lucido, ho il senso delle cose.
Penso e faccio riassunti, compendi.
Rinnovo ogni tradimento.
Rinnovo la mia unica fedeltà,
questa, di cui mi è vietato parlare
perché si spaventerebbe, è ancora inesperta,
fuggirebbe per pudore.
Ma anche queste mani gravate
da tutti questi gesti,
accumulati lungo tutto questo tempo, porterei.
Come farei a lasciarle? sono ciò di cui
più pesante ho guadagnato.
Cosa fare di questi rimasugli
ingombranti, e di quest’ansia
costruita passo a passo
con tenacia sugli occhi
come se fosse fascio di lumi,
lucerne, fiaccola, torcia.
Spegnerla non serve a nulla,
non serve a non guardare.
Tenerla accesa, scrutare
a volte sembra
così poca cosa, in certi casi
pura presunzione. Guardare
non è sempre un aldilà di tutto?
Allora, nell’incertezza,
che fare? quando si ha
così tanto da fare.
Che fare
quando si ha così tanto da fare?
Porta con te anche un poco di quel
tuo incompiuto daffare, mi hai risposto
niente ci è più intimamente caro di quel tuo
incompiuto daffare,
che si accumula come polvere sui mobili.
Consapevolezza
So di essere un cane, ma è strano
perché ultimamente
non mi va di rincorrermi la coda
credo di averla persa.
Avendola persa, ci provo col sedere
e se non trovo neanche quello allora
no mi resta che l'ombelico.
Che abbia perso tutto tranne l'ombelico?
È importante il mio ombelico, è mio,
è capiente, dentro ci sto perfino tutto io.
Ho capito di essere un cane ma
un tipo strano di cane
la luna no mi affascinare più, i gatti
a dir il vero mi sono simpatici.
Dunque anche se sono sicuro
di essere un cane, mi sento strano.
Certo, marco il territorio
con vani desideri, con inutili speranze
ma, non piscio ovunque,
né sui pali della luce, né tra i cespugli.
A quanto pare, sono proprio un tipo
strano di cane, un tipo morigerato, curioso,
sospettoso, un po incerto, un po confuso.
Perdo i miei istinti, ne guadagno altri
divento un po randagio, un po umano.
Vorrei avere una giacca, un golf
di cachemire, anche un capotto,
color cammello e RaiBan scuri,
ogni tanto indossare la cravatta
e se potessi una fine barbetta elegante
e baffetti sottili ritagliati sulle labbra.
Ho paura di essere diventato troppo umano,
scodinzolare pero ancora mi piace,
oggi come oggi è necessario,
e per fortuna non disdice,
(rincorrersi la coda e se la si ha perso il sedere
o meglio ancora l'ombelico, è utile,
e oggi come oggi, molto efficace).
Non sono del tutto fuori strada dunque,
scodinzolare come un cane, un cane randagio,
ma non per questo a disagio,
per fare strada oggi,
è di grande vantaggio.
Roba da matti
Da un momento all'altro morirò.
No, non che io sia malato e stia per morire,
o che disperato lo desideri, no.
Per quanto ne so, sono quasi sano
o il più possibile, poi
sono sereno, fiducioso, e molto
lieto di tutto, e sopratutto
più di qualunque altra cosa
mi piace sopravvivere.
Ma è una strana idea che mi si è
ficcata in testa,
prima o poi morirò, (roba da matti,
non c'è che dire)
II.
Dico, non vorrei essere frainteso:
sono un essere vivente,
uno che vive per vivere.
E che vive
a più non posso, il più che può.
Che è come dire...vivere assiduamente,
tenacemente, ma certo
con un po di cautela, con cura,
(un po' di paura anche). E non
che so... per non morire, e non
come dire... uno che a mala pena
si avvicina al morire.
Certo, uno come chiunque, tra altro,
ma non uno qualunque che sa
che ineluttabilmente morirà.
Tutt'altro, sono un vivente molto convinto
del tutto, pienamente, non ho dubbi.
Si ma dopo? mi chiedi.
Poi, lo si sa, si sa come va a finire.
Lo sanno tutti. O forse no?
o forse no, questo chissà...
se mai ti racconterò.
Pochissimo, il burattinaio maldestro
e la memoria burattino
Posso fare così poco, muovo
le dita con leggerezza, sento il peso
non vedo i fili, temo
che il burattino si muova
prima di me.
Ma forse non ho altro che il peso
e non la grazia dei gesti.
Però, di tutto quello che faccio, gli chiedo
cosa mi rimane? cosa potrebbe salvarmi?
Di questo che è il mio quotidiano
lavoro, cosa dimentico? cosa ricordo?
che differenza c’è tra ciò che ricordo
e ciò che dimentico?
Cosa porterò con me finalmente?
Il burattino che non ebbi, o che mai
crebbe, Il fantoccio
che mi precede,
o una figura malcerta da pattuire
al momento opportuno?
Salta, salta, gli dico, tu che sei di legno,
goffo, sgarbato e non hai nulla da temere.
Gioca, fa’ le capriole, non arrenderti!
Rischia, buttati giù, i fili si sono rotti
tu neanche li ricordi, sei solo ormai?
Affacciati all'orlo, rischia di cadere
vedi se qualcosa ti trattiene,
guardagli in faccia, prova a sentire la Sua presenza
-a te è concesso?
Vedi se la Sua faccia è inerte, rassegnata
o se è invece attenta e tradisce
un barlume di pietà, di paura…
paura per tutti noi?
Che si possa sospettare di qualcosa, di qualcuno
ancora più lontano?
Darwiniana
Così ora l’animale estraneo, maldestro
colleziona ossicini di topo.
Prima li trovava interrati dal gatto
e con cauta pietà li puliva dai brandelli
di carne inverminita.
Poiché erano stridenti come ottavini
in questa o in un’altra vita
ultraterrena o sottoterrena
crede sarebbe meglio che la liturgia
fosse la più silenziosa possibile.
Per lo più cerca di rasserenarsi, a modo suo:
fa stupidi gesti da saltimbanco, spera
una volta per tutte di aver nascosto bene
quel garbuglio di pifferi,
tanto da non poter più ritrovarli:
preferisce fare trucchi a mani nude.
Aspetta, aspetta! potresti morire di buon ora!
Sii più serio, vedi il tempo che hai perso
girandoti intorno: i tuoi gesti ti si erano quasi
dolcemente calati nelle mani
a che serve ora pendere da precetti?
Una voce girandola, legata a un filo, glielo ripete.
Colleziona istanti in cui crede morirà,
in altri invece preferisce non pensarci
e rimane solo, in silenzio, a non pensarci.
Non più pesanti di quelli ossicini cavi sono
i momenti in cui crede di poter tornare sui suoi passi,
è strano: se è così attento, come crede, perché
malgrado ci ricade,
appena gli capita
di voltare l’angolo diviene talmente
determinato, smemorato, che non ascolta
neanche il digrignare delle sue ore più fedeli,
perciò...
Per non muoversi medita fare passi da gigante.
Certo è che quando è più deciso e si raccoglie
pronto alla partenza, felice dell’affanno,
prega affinché si confondano le acque
per scongiurare la paura di approdare.
Si intrattiene a fare gesti da non vedente
che da lontano gli sembrano tramonti boreali.
Fare il funambolo della memoria
giustifica la caduta
ripete a se stesso e ci riprova.
Dopo gli viene sonno, si addormenta
e sogna lo scafo eroso
dalle ombre di un presente che verrà,
seriamente si prepara
pensa ad allacciarsi le scarpe.
Tuttavia nel bene o nel male si fida
della vela rattoppata e dell’ancora
che stamattina ha ricavato
da uno spazzolino da denti,
di questo sono sicuro.
Sconcezze grammaticali e di pensiero rivolte ad alcunereliquie sotto elencate e scelte le più povere e improbabili.
Più una spuria preghiera, si crede aggiuntadall’amanuense.
Reliquie a cui è rivolta la preghiera
L’odore di muffa del feretro di Santa Timotea di Trinitapoliimprigionato in una delle narici del naso lebbroso del beato Olofrene che sipreserva miracolosamente incorrotta curata dal morbo, custodita in un’urnad’oro sigillata e minuscola come la rotula di un bambino, che non è stata maiaperta e che è severamente vietato rimuovere dalla sua nicchia, o perfinosfiorarla lievemente per paura che il miracoloso odore sfugga e si disperdanell’aria.
Un’unghia strappata nel martirio a Santo Frastuono martire, con residuidi scorza di formaggio, suo solo nutrimento nella cattività che caritatevolegrattava per darlo ai topolini compagni di cella, dottorali con le facoltà dellaparola e del raziocinio, virtù che furono a tali umili creature concesse grazieall’incessante preghiera del santo che, secondo quanto è stato tramandato, nelfervoroso soliloquio della sua umile supplica, adduceva quale motivo dellagrazia domandata la necessità di discutere con essi il principio dellafratellanza tra roditori, o per meglio dire, tra coloro che davanti alle evenienzedell’esistenza sono costretti ad agire rodendo le difficoltà, non avendo néforza nelle membra né vigore nel pensiero per soverchiarle con agilistratagemmi, ben ideati e riflettuti, e con astuzia e svelta e ferreadeterminazione.
La puzza di trementina di Santa Eulalia dei miracoli delle sei dita inogni mano, forte e acre odore sprigionatosi inspiegabilmente quando le furonobruciate le mani in quanto fu ritenuto da santi uomini versati nelle scienze didevozione che solo il demonio poteva avere mani con tante dita e tutteinsolitamente sottili ed elastiche di cui la Santa si serviva per illustrare aipoveri orfanelli gli intrecci che nell’animo pio tessono le virtù dellatemperanza, il riserbo e la tolleranza, così come per insegnare loro alcune
delle regole dell’aritmetica, acre e benefico olezzo che si avverte in un angolodella sacristia della cappella a lei consacrata nel paese che le diede il nataleMonte di Scavalcagalli, e che è più aspro e intenso in quei giorni di iniziodelle freddi nebbie e delle lievi e pertinaci piogge dove il rimpicciolirsi deigiorni e della luce accorcia nello sguardo il senso di lontananza e di segretoche è nella gioia di vivere, inculca nell'animo degli uomini il sensodell'irrimediabile finitezza della vita terrena, riduce di conseguenza il vigoredelle funzioni respiratorie, impedisce la espansione naturale e forte del torace,e in tal modo propizia il contagio dei fluidi corporali inspessendoli,aumentandone la umidità e suscitando l'infiammazione delle orecchie, delnaso e gola, e languore e tristezza nella determinazione e nell'animo.
Gli affanni e ansimi della beata Suor Pulcrizia di Antiochia patronadegli starnuti silenti e soffocati pratica a cui era votata nella solitudine dellasua cella durante l’obbligo della preghiera e le consuetudini del suo lavoro diricamo e rammendo, così come tra la folla e l’agitazione nei giorni in cui erasolita recarsi al mercato e che aveva lo scopo di mostrare la fermezza del suocarattere, della sua fede, e la severità della prescrizione a cui era dedita in tuttii momenti della sua esistenza e che non aveva altra spiegazione o altro motivoche non fosse quello di reiterare la sincera supplica di pietà per gli uominiultimi, gli umiliati, i tiepidi, che non sono né freddi né caldi, che si tacciono eche voltando lo sguardo da un'altra parte desiderano passare inosservaticercando di smorzare perfino il rumore dei propri passi e che ricusando tuttoper vizio di tristizia e pusillanimità con misero rimpianto si trascinano dietrole intricate matasse dei loro cavi sciolti, e che è miracolosamente possibileascoltare nelle piazze e mercati affollati nei giorni di festa patronale se siscuotono forte vicino alle orecchie alcuni dei fazzolettini da lei fittamentericamati, impregnati, zeppi di quelle sue soffocate suppliche.
Una piega dell'ombelico di San Romualdo patrizio germanico eremita,coriacea e talmente sottile e tagliente che si ebbe il sospetto che, in tempiremoti, prima che si rivelasse la sua insigne origine, fosse stata empiamenteimpiegata come strumento chirurgico da curatori e ciarlatani girovaganti, lacui rigidità e durezza è dovuta al fatto che il santo anacoreta riusciva a nutrirsisolo di licheni essiccati e del effluvio che effondevano certi tuberi da luiconosciuti se immersi per diversi giorni in una miscela pestilente di succo diviscere di lombrico nero e acqua di un certo pozzo tetro e sleale dove si crede
le giovani vedove penitenti gettassero le loro vergognose bramosie e lui,invece, i suoi più recalcitranti ricordi che lo assoggettavano alla memoriadella sua vita anteriore e ai sui più cari e tenaci rimpianti; pozzo d’infinitaspregevolezza dal cui ignobile ed inesausto imo non si riesce a udire il tonfodi una pietra o di qualunque altra cosa pesante che si lasciasse inabissare nellasua paurosa gola neanche se lo si attendesse per intere settimane, mesi oaddirittura anni.
La lingua rigida e annerita di Santa Cristofelia da Norck, che se èveduta da individui ignoranti, privi di alcuna istruzione, ispira a queste animesemplici e feribili veementi soliloqui di elevatissima saggezza e diprofondissimo e accorato desiderio di vita eterna tanto da far smarrire loro ilsano discernimento e che per tale ragione è conservata in luogo segreto einaccessibile ed è oggetto di diligente e pertinace, ma alquanto inutile, studioda parte di dottori sapientissimi ai quali la chiarissima scienza e integerrimaavvedutezza schermisce di ogni manifestazione infra-sensibile non sortendo,pertanto malauguratamente, su di essi nessun effetto, e che a causa dellasomiglianza naturale del colore e anche della sottigliezza, rigidità e logoriodel suo aspetto, fu per molto tempo creduto che fosse invece un lembo dellasuola di uno dei sandali del beato Preliodoro consuntosi durante il viaggio cheil sant'uomo fece come penitenza a una regione a noi sconosciuta, e a quantosi crede remotissima, di una inesorabile e inimmaginabile remotità, aldilà dellungo e maestoso Eridanus e che oggigiorno congetturasi sia a poca distanzadalle primi valli al piè di quei monti sempreverdi chiamati Prealpini, vallatastranamente concava e dalle nebbie perenni dove in alcuni manoscrittiattribuiti al Beato viandante racconta di come abitanti taciturni e intensamenteabbarbicati in quelle terre si cibino nei giorni festivi di strani frutti nati,secondo quanto è stato possibile congetturare, da piante sub - terrene o checrescono in senso inverso verso le interiorità delle croste terrestri e per talemotivo hanno un’apparenza esteriore come di baluginanti gemme, un saporedolcissimo ma anche minerale, pastoso e molto pungente, causato forse daglinumerosissimi rivoli di viva lava che solcano quelle suddette profondità, e dadove il Santo viandante non torno mai già che in quei stessi suoi scritti spiegache per aumentare le difficoltà, i sacrifici e la gioia della sua penitenza smarrìvolontariamente la strada di ritorno tante volte, tante, finché alla fine perse lacognizione del luogo in cui si trovava e capì perciò che non era più necessariotornare.
La Preghiera
Io che per la mia intiera vita fui nella mia mente e nelle mie evenienzesmarrito senza riuscire a capire chi ero e anche convinto di essere un altrodiverso da me stesso e per tale motivo tante volte, tante per non dire sempre,presi decisioni che ad altri forse avrebbero portato a conseguenze felici e alcompimento delle loro aspirazioni e desideri, e invece a me non portarono adaltro che a farmi sbattere contro la viva realtà come un burattino governatocon maldestra o nessuna perizia e i cui fili, ciò mi fece pensare, si fossero rottio imbrogliati o non fossero addirittura mai esistiti, tanto da farmi credere chela provvidenza o il destino e la vita stessa non fossero altro che una sorta disbilenco marchingegno a corda e che essa si fosse o inceppata o addiritturastesse miserevolmente a punto di esaurirsi…
Che come consolazione e al contempo castigo delle mie azzardie sia ioineluttabilmente per sempre fedele ai miei errori, che perseverando in essi liripeta in variazioni e forme diverse tante e tali che non mi conducano ad altrosenonché a irrobustire il disegno di creatura che è nella sua natura laperseveranza nel vacillare, l’inciampare e l’accanirsi nel abbaglio dei propriinganni. E che mai possa io, in nessun momento, per nessun motivo, o conausilio di nessuno, tornare indietro sui miei passi, neanche se fosse il piùpiccolo, futile e insignificante di tutti i miei già compiuti e stolti passi.