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14 | IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 3 Settembre 2015

Il Fatto Speciale“Scrittori e massaè la testimonianzadi una sconfitta”

N » MARCO PALOMBI

inviato a Monticchiello (Siena)

on sembri bizzarro introdur-re una conversazione con Al-berto Asor Rosa –storico del-la letteratura e intellettualeche ha attraversato mezzosecolo della sinistra cosid-detta radicale, dall’o p e ra i-smo dei Quaderni Rossi in giù– con l’attacco che il conser-vatore Balzac riserva ne Laduchessa di Langeais all’ari-stocrazia della Restaurazio-ne. Uccisa per insipienza dainuovi padroni borghesi, in-capace persino di dotarsid’un salotto letterario diqualche valore: “Quando laletteratura non ha un sistemagenerale, non attecchisce e sidissolve col dissolversi delsuo secolo”. Curiosamente,Balzac finì per essere pro-prio il cantore della monar-chia borghese di Luigi Filip-po d’Orleans, perché l’arte ela vita hanno rapporti strani emisteriosi, ma il problemadel “sistema generale”, o al-meno d’un suo accettabilesuccedaneo, è arrivato fino anoi. Oggi, per dire, Asor Rosalo cerca e non lo trova: i furorigiovanili di Scrittori e Popolo– attacco da sinistra al popu-lismo coltivato dal Pci nelbrodo del gramscianesimo –sono tornati in libreria dopocinquant’anni anni esatti conuna postilla, Scrittori e mas-sa. L’obiettivo polemico, pe-rò, è svanito. Non c’è più il po-polo, sostituito dalla massa,non ci sono più il Pci, l’ope-raismo, la rivoluzione: persi-no il liberalismo è morto,schiacciato dalla vittoria delcapitale. A livello della lette-ratura, moribonda anche lacritica, quel che resta è unamassa di scrittori tra i 30 e i 50anni alle prese con una miria-de di storie senza rapportocon la Storia, schiavi del rit-mo di produzione impostodal l’industria, spesso tradi-zionali nella forma, sempreconservatori quanto alla fun-zione oggettiva. Il Fatto sen’è occupato, parlandonecon scrittori e addetti ai lavo-ri, nelle ultime dieci settima-ne: la serie si chiude tornan-do al punto di partenza, Al-berto Asor Rosa.

Professore, se come lei scri-ve la critica è incapace didarsi un senso, la politicaindicibile o inutile, alloraScrittori e massa non è solola fine del mondo letterariod’a n ta n , è anche un segnaledi resa: una sconfitta che èanche la sua.

Devo fare una premessa: ilmio punto di vista non è cosìnegativo e pessimistico co-me lo raccontate. Ho cercato

di individuare una linea di a-nalisi, di individuare una se-rie di possibilità. In Scrittori ePo polo il tentativo fu con-trapporre alla tendenza po-pulistica gli autori della let-teratura grande-borghese;oggi anche se è più difficile,ho puntato l’attenzione su al-cuni elementi di approfondi-mento che pure esistono nel-la letteratura più recente. Di-rei che anche il fatto che unsignore della mia età, che haattraversato cinquant’a nn idi storia culturale e politica,si dedichi con una certa di-ligenza a esaminare e valuta-re scrittori trenta o quaran-tenni segnala che non c’èperdita di interesse. Ciò det-to, non voglio eludere la do-manda.

Dunque, questo libro è la te-stimonianza di una sconfit-t a?

Che nell’autore dei due librici sia la testimonianza di unasconfitta lo trovo innegabile.È al tempo stesso la sconfittadi una prospettiva politico-i-deologica che nel percorsocinquantennale che ci sta al-le spalle ne ha subìte di tutti icolori. La sconfitta c’è: è per-sonale e di gruppo, ma è an-che più globalmente unasconfitta storica. Non per en-fatizzare, ma se uno ha par-

tecipato con un certo impe-gno alla gestazione dei varifenomeni che hanno con-traddistinto gli anni Sessan-ta –dalle lotte operaie a quel-le studentesche – trovarsi difronte l’Italia di Matteo Ren-zi e dei suoi complici non puònon rappresentare un ele-mento di sconfitta e autocri-tica. A sostegno della ditta sipotrebbe dire almeno chequalcuno non ha smesso diparlare...

Veniamo ai libri. Lei sostie-ne che gli editori vogliononarrativa, l’unica forma am-messa di letteratura, e que-sto comporta una sovrap-p ro d u z i o n e .

Che ci sia un’urgenza dellaproduzione mi pare eviden-te: se il narratore contempo-raneo deve produrre un libroogni due anni, le risorse uma-ne, la creatività, l’i nvenzio-ne, la capacità di riflessionediventano impari rispetto auna macchina così vorace.

Balzac scriveva moltissi-m o. . .

Be’, forse la fonte era più po-derosa... Anche Dumas hascritto molto, non tutto allostesso livello, ma sempre adun altro livello. Diciamo cheè come se oggi il meccanismoavesse rovesciato il suo an-damento: la produttività di

Balzac regolava i ritmi dellaproduzione editoriale, oggi èla macchina produttiva edi-toriale che regola la produt-tività dell'autore.

Lei fa un cenno anche aco m ’è cambiato il lavorodello scrittore grazie alcomputer. Troppo facile fa -re un romanzo?

Certo che questo conta, manon solo. In passato potevaaccadere che ci fosse un nar-ratore riuscito di un solo li-bro. Manzoni ha scritto solo I

promessi sposi e nessuno gliha chiesto di scrivere altri ro-manzi: aiutava il fatto chefosse un rentier, se la cavavada solo e non aveva bisognodi portare a casa i soldi a finemese.

Si parlava del romanzo. Perquanti se ne pubblicanosembra vivacissimo, men-tre la sua morte come formanegli anni Sessanta era unfatto assodato. Un solo e-sempio: Fratelli d'Italia diA r b a s i n o.

È un fatto singolare e vero.Arbasino, certo, ma anche I-talo Calvino. L’estenuazionee la dissoluzione della formaromanzo in Calvino arriva alivelli impensabili solo tren-t'anni prima: Le città invisi-bili, Se una notte d'inverno...Anche Petrolio di Pasolini èin definitiva un tentativo disvuotare la forma romanzo.Tutto questo processo arrivaalla metà degli anni Ottanta:quando i più giovani rico-minciano, nei Novanta, ri-prendono la vecchia forma

romanzo. È più tradizionaleVeronesi di quanto non siaCalvino, è più tradizionaleLagioia di quanto non siaGadda. Il Novecento ha fattofino in fondo il percorso fuorie oltre la forma romanzo,mentre – con qualche ecce-zione – oggi la scelta è la for-ma tradizionale.

Fin dal suo debutto, nel Sei-cento, il romanzo si svilup-pa in rapporto con il gustoborghese: forse oggi muore– o non parla più alla Storia– perché anche la borghesiam u o re .

La domanda è complicata,ma la questione è giusta. Unacontroprova positiva di que-sto si potrebbe avere nel fattoche, secondo me, la narrativapiù convincente e risolta og-gi è quella anglo-americana,dove la genesi borghese e ilrivolgersi a un pubblico bor-ghese sono due fatti innega-bili. In Italia il vincolo è assaipiù labile, ma nell’ultima on-data narrativa è indubbio chec’è la ricerca, anche faticosa,di radici e interlocutori chesiano più legati a questa fa-mosa tradizione borghese.

Nomi?Ad esempio Mazzucco e La-gioia, ma anche altri, nei lororomanzi più riusciti sono e-videntemente alla ricerca diquesta interlocuzione: rac-contano la decadenza e il de-grado di quel mondo e al tem-po stesso non possono fare ameno, in un certo senso, di ri-volgersi a lui, di attraversarequesta perdita cercando direstituire i simulacri di inter-locutori che sul piano socialee culturale si sono perduti.

In Scrittori e massa par lamolto bene di G o m o r ra co -me tentativo di uscita dallostorytelling e ritorno allaStoria. Una soluzione, però,non si vede: forse a colpi di50 titoli l’anno (“ma il cal-

GIAN ARTUROFERRARI

Letteratura ed editorianon coincidono? Giocaa fare il mercante, masi contraddice: è luiche dice di fare ricerca,che gli piace mettereil naso nel pentolone

Per chi ha partecipato alla gestazione dei varifenomeni degli Anni 60, l’Italia di Renzi non puòche rappresentare una ragione di autocritica

F R A N C E SCOP I CCO LO

Non è affatto male, è pure simpatico,ma è la riduzione grottesca di unfenomeno che io considero tragico.Ovvero la scomparsa dei punti diriferimento, delle grandi tendenzeculturali che sostenevano la lettura.Lui ci ride su e gli va anche bene

Fol l adi scrittoriIn basso, inquesta pagi-na, Gianni Fer-rari (Monda-dori Libri) e loscrittore Fran-cesco Piccolo.In basso a de-stra, AlbertoAsor RosaA n s a / La Pre ss e

B iog ra f i aA L B E RTOASOR ROSAClasse 1933,Alberto AsorRosa è natoa Roma. Haco l l a b o ra tocon le riviste‘Quaderniro ss i ’, ‘Cl a ss eo p e ra i a ’ e‘Mondon u ovo’ e hadiretto ilsettimanaledel Pci‘Rinascita’.Dal 1972 ès t a top ro fe ss o reordinario (oraè emerito)all’U n i ve rs i t àLa Sapienza.Ha progettatoe diretto la‘S to r i aeuropea dellaLe t te ra t u raItaliana’ diEinaudi.Autore din u m e ro s isaggi di criticaletteraria, hascritto moltoanche dipolitica.U l t i m a m e n tesi è messo allaprova comen a r ra to re ,sempre perEinaudi

Rif lessionii mp ol it iche/ 1 1

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Il Fatto Speciale

colo è per difetto”) muoreanche la critica?

Effettivamente una linea ditendenza che accomuni piùautori non c’è: le ricerche sisono individualizzate, cia-scuno cerca verità e inven-zione usando mezzi che sonopeculiarmente suoi. Per que-sto ho parlato di “atomismoindividualistico”: non ci so-no gruppi, non ci sono ten-denze, non ci sono centri dielaborazione collettiva cheintegrino scrittori, critici, in-tellettuali e così via. Qualco-sa accade con la rivista diGoffredo Fofi, Lo straniero,ma nulla a che vedere col pa-norama anche solo di cin-quant'anni fa. In questa si-tuazione non ho nessun mo-tivo di nasconderlo, c’è unaestrema difficoltà a orientar-si nella critica: è come se ci sitrovasse di fronte a un calei-doscopio con decine e centi-naia di ipotesi e suggestioni.

Antonio Pascale ha soste-nuto che il suo è un proble-ma di distanza: dovrebbealzare lo sguardo e così ve-drebbe l’intero quadro.

Pascale è uno scrittore moltointelligente, ma in quell’i n-tervista a un certo punto di-ce: “Non scriviamo per Fofi oAsor Rosa”. E chi l’ha chie-sto? La critica mica è la ri-chiesta che lo scrittore si as-soggetti, è un’operazione discambio. Quanto alla distan-za, al saper vedere, forse Pa-scale ha ragione, fatto sta cheio quelle analogie non sonoriuscito a vederle. Resta chela lotta dello scrittore checerca la sua strada fra la mi-riade di ostacoli e occasioniche gli si frappongono è so-litaria: l’individualità delconflitto prevale.

Per Franco Cordelli, il pro-blema è che ormai il pubbli-co dei narratori sono glistessi narratori: tutti i let-

Se l’utenza si restringe, ov-viamente il rapporto dellaletteratura con la società ten-de a diventare meno produt-tivo. C’è una singolare con-traddizione: l’industria edi-toriale spinge a scrivere sem-pre più narrativa, e quindi aprodurre sempre più narra-tori, mentre il mercato deilettori si riduce, per cui lamoltitudine dei narratoricorrisponde a un bacinosempre più limitato di letto-ri. Mancano, contempora-neamente, quei punti di rife-rimento, di sostegno ai pro-cessi della lettura, che eranole grandi tendenze culturali eideologiche e politiche, dalcomunismo al cattolicesimo,al liberalismo... Se tutto que-sto esce di scena, il narratore,poveretto, che fa?

Fa Francesco Piccolo...Piccolo non è affatto male, èanche simpatico, ma è la ri-duzione grottesca di una fe-nomenologia che io conside-ro tragica. Lui ci ride sopra egli va anche bene...

Gianni Ferrari, vicepresi-dente di Mondadori Libri,l'ha messa giù dura: edito-

ria e letteratura non sono lastessa cosa, non è compitodell’editore fare ricerca let-te ra r i a .

Ferrari è simpaticissimo egioca a fare l’editore, quinditutto ciò che costituisce unrichiamo alla possibilità cheanche una casa editrice sti-moli ricerca letteraria lo tro-va in disaccordo. Però, l’i n-tervista al Fatto la concludecosì: elenca una serie di ca-tegorie di editori e finisce di-cendo che “ci sono editoriche pensano, più umilmente,di fare un’attività mista, chein parte è industriale, in parteè scoperta, in parte esplora-zione di ciò che bolle nel pen-tolone del mondo. A me di-verte più l’ultima perché mipiace mettere il naso nel pen-tolone”. Ma allora l’editoriaha a che fare con la ricerca!Lo dice lui, è lui che smenti-sce che l’editoria sia solo in-dustria e profitto. Chi po-trebbe negare che Giulio Ei-naudi, nonostante la sua ten-denza a realizzare soluzionifallimentari, facesse l’i nd u-striale? Ma se le cose stannocome dice, perché non do-

vremmo essere d’acc ordocol grande editore Ferrari at-tento solo ai profitti? L’indu-stria editoriale è anche ricer-ca letteraria.

Il critico Andrea Cortelles-sa ha buttato lì che in Scrit-tori e massa lei si occupa ditroppi autori Einaudi, suoicolleghi di casa editrice.

Non ho fatto conteggi, manon credo: comunque par-lando di narrativa e poesia èdifficile non occuparsi di Ei-naudi...

Ancora Cortellessa: questecose si dicono da anni, l'a-nalisi di Asor Rosa arrivatroppo tardi, quando i buoisono già scappati.

Questa non la capisco: i po-veri critici storici arrivanosempre a cose fatte. AncheScrittori e popolo alla primariga dell'introduzione recita:“Il populismo è morto e iospiego perché”. Vabbè, di-ciamo che sono uno che ar-riva tardi e la chiudiamoqui.

Dei poeti, invece, parla mol-to bene. Pare che l’unico ri-fugio della letteratura sia lalirica: ancora una fuga dallaS to r i a .

Do qualche spiegazione: unadi queste è che la poesia nonha mercato, quindi le regole ele pulsioni che derivanodall’essere nel mercato e do-ver assolvere alcuni compitidi profitto la lirica non ce liha. I poeti scrivono quelloche vogliono e come voglio-no: questa maggiore libertàcreativa approda a risultatiindividuali anche di alto li-vello. A parte Valerio Ma-grelli - che è una certezza ac-quisita - se devo fare un e-sempio dico che anche AldoNove tra gli ultimi mi ha mol-to colpito, forse anche permotivi personali: in Addiomio Novecentoc’è una perce-zione del mutamento, delpassaggio, che nei narratorisi avverte meno. Forse anchela presenza predominanted el l ’elemento femminile inpoesia è significativa: le don-ne vanno più facilmente inquella strettoia, mentre ilmaschio cerca il successo.

La poesia, però, non ha let-tori: a livello editoriale èquasi scomparsa.

Sopravvive perché ci sonodue collane e qualche cespu-glio sparso nell’editoria mi-nore: Ferrari giura che LoSpec chio, quella di Monda-dori, non chiuderà, ma sten-ta; la bianca dell’Einaudi hadiminuito i titoli e la tengonoin piedi per motivi di faccia-ta. Dovessero sparire, non soche ne sarebbe dei poeti ita-liani.

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Il narratore contemporaneo deve produrre un libroogni due anni: risorse umane, creatività, capacità diriflessione sono impari rispetto a una macchina così vorace

L’e B o okdel FattoLe 11 puntate diqueste “rif lessionii mp ol it iche” attor -no alla letteraturasaranno riunitein un eBook,che saràdisponibile gratisper gli abbonati

Il critico rispondeDopo le dieci puntatededicate all’aggiornamentodi Scrittori e Popolo, l’autorereplica a obiezioni e analisi

tori hanno un romanzo nelcassetto o potrebbero aver-ce l o.

B e’, questo riguarda ancheme ormai, visto che da qual-che anno anch’io scrivo nar-rativa. Cordelli è uno scritto-re intelligente e avveduto,anche se è di un’altra gene-razione rispetto a quelli dicui mi occupo. Non so dire seabbia ragione: è un dato di

fatto, però, che il pubblicodei lettori sia enormementediminuito. L’uso degli stru-menti informatici ha para-dossalmente dato il colpo digrazia al processo di alfabe-tizzazione che con enormefatica si era compiuto nei pri-mi due o tre decenni del Do-poguerra.

E quali sono le conseguen-z e?

Domenica il dibattito alla VersilianaLa letteratura italiana, quella prodotta da chi è nato dopo il’60, è – in meccanico passo doppio con la società – unamassa indistinta di storie individuali senza capacità di presasul presente, cioè di fare politica, costruire società? E poi:esiste ancora una società letteraria capace di imporre gusti,

visioni del mondo, poetiche? Questi alcuni dei temisollevati da Alberto Asor Rosa, che dopo 50 anni, haarricchito il suo “Scrittori e popolo” del ‘65 col saggio“Scrittori e massa”. Sul “Fa t to” hanno risposto gli scrittoriTrevi, Montesano, Murgia, Buttafuoco, Lagioia, Buzzolan,Saviano, Di Paolo e Pascale, il direttore editoriale di

Longanesi Strazzeri, i critici Cortellessa, Cordelli, Di Mauzoe Gardini, il “venerato maestro” Arbasino, GinevraBompiani (Nottetempo) e Gianni Ferrari, vicepresidente diMondadori Libri. Oggi si chiude, domenica alle 17 nediscutiamo alla festa del Fatto alla Versiliana con GianniFerrari e due premi Strega: Nicola Lagioia ed Edoardo Nesi.


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